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Le Domus de Janas, luoghi simbolo del culto della Dea in Sardegna.

Cosa sono e il progetto per salvarle

Quando si pensa alla Sacralità Femminile in Sardegna, le prime cose che vengono in mente dopo la Dea Madre, sono le Domus de Janas. Queste spettacolari grotticelle funerarie sono state scavate nella roccia tra il V ed il III millennio a. C. e legate al culto della Dea.  Di queste, circa 300 sono decorate con rappresentazioni simboliche dalla potente valenza rituale e propiziatoria, con astrazioni concettuali di indubbio significato magico-religioso. In Sardegna ci sono circa 3.500 Domus de Janas (tradotto comunemente come “case delle fate”, anche se ci sarebbe da dire su questa terminologia come ho spiegato in un video che puoi vedere cliccando qui ).

Quelle decorate rappresentano un bene culturale di valore universale eccezionale, nella maggior parte dei casi messo in pericolo dall’incuria, dall’abbandono e dal degrado. Un pezzo preziosissimo di storia e della nostra identità rischia di andare perduto pur trattandosi di una meraviglia che in qualunque altro Stato sarebbe al centro di campagne di tutela, valorizzazione e promozione turistica.

 

Col Centro Studi Identità e Memoria abbiamo un sogno: vogliamo salvarle. Ne abbiamo parlato a Sardegna Uno TV assieme alle mie amiche compagne di questa avventura: le professoresse dell’Università di Cagliari, Giuseppa Tanda (già ordinaria di Storia e Protostoria della Sardegna e presidente del Centro Studi Identità e Memoria), Stella Piro Vernier (già professoressa ordinaria di Analisi Matematica e presidente del Club Unesco Cagliari) e Barbara De Nicolo (già professoressa ordinaria di Tecnica delle Costruzioni e vicepresidente del Cesim). Ne abbiamo parlato a Thesauro, il programma di Mario Tasca

CLICCA QUI per vedere il video

Il nostro sogno è che le Domus de Janas vengano inserite nella Lista del Patrimonio Mondiale dei beni tutelati dall’UNESCO

La petizione che ho lanciato (che puoi trovare cliccando qui serve ad agevolare la necessità di una rete tra realtà locali. Senza una visione comune non possiamo fare nulla. E questo vale per ogni cosa.

L’iter ufficiale è lungo e complesso. Il ruolo del movimento popolare e della richiesta dal basso è importante perché può incidere come stimolo in ogni fase della procedura, a partire dalla prima che prevede la creazione di una rete tra i Comuni sardi coinvolti e la loro attivazione per il progetto.

 

COSA SONO LE DOMUS DE JANAS?

DESCRIZIONE

Le Domus de Janas – chiamate così perché, secondo la mitologia sarda, sarebbero le abitazioni delle fate tessitrici che lì nascondevano i loro tesori – si presentano come cavità nella roccia raggruppate in necropoli individuate in almeno 53 siti. A queste necropoli dovrebbero corrispondere altrettanti villaggi, non sempre individuati o individuabili. Le necropoli che presentano il maggior numero di domus de janas sono quelle di Montessu a Villaperuccio (con 39 tombe), Anghelu Ruju ad Alghero (38), Ispiluncas a Sedilo (33), San Pantaleo ad Ozieri (con 31). Più comunemente si presentano isolate o in gruppi più piccoli. La concentrazione maggiore di Domus de Janas si osserva nella Sardegna centro settentrionale, probabilmente perché era più facile scavare le grotticelle nelle rocce tenere caratteristiche della zona (soprattutto calcaree e arenarie), o – come spiega Tanda – per la presenza dell’altare preistorico di Monte d’Accoddi, situato a circa 12 km da Sassari, monumento unico in Sardegna e nel Mediterraneo, componente significativa del sistema culturale sviluppatosi in Sardegna tra il Neolitico e la I’età del Bronzo.

SIMBOLOGIA

Le Domus de Janas sono cavità nella roccia che richiamano simbolicamente la forma del ventre materno. I corpi venivano coperti di ocra rossa, simbolicamente ripetendo il sangue dell’utero con cui i bambini e le bambine nascenti erano avvolti nel momento della nascita. I corpi venivano deposti rannicchiati in posizione fetale, proprio come dentro il grembo. Nella mano destra tenevano una piccola statuina della Dea, come a proteggerli nel passaggio che avrebbero fatto dallo stato di morte alla nuova vita.

STRUTTURA

Le planimetrie si sviluppano per lo più in maniera semplice, talvolta, in maniera molto articolata, arricchendosi man mano, per arrivare fino a 20 camere. Ad esempio ad Ossi,

nella domus II di Mesu ‘e Montes e nella Tomba Maggiore. L’estensione massima, di 140,45 mq, è stata misurata nella domus de janas denominata Tomba del Capo, situata a Monte d’Accoddi, Sassari. La complessità degli ipogei è il risultato di ristrutturazioni e di aggiunte avvenute nel lungo arco di tempo, talvolta millenario, in cui vennero usate le grotticelle. Tale continua riutilizzazione evidenzia il loro valore identitario e “politico” delle tombe, legato anche alla funzione di segno di possesso e di marca territoriale del gruppo umano che le aveva escavate.

USO

I vani permettevano di svolgere due funzioni: la prima era quella di accogliere il defunto o la defunta in un vano riservato che ne assicurava la protezione; la seconda consisteva nel dare accoglienza ai culti rituali in uno spazio circoscritto, rendendo forse possibile, con visite periodiche, la comunicazione spirituale di tipo individuale con i morti ma anche quella di tipo collettivo, instaurando, nel tempo, rituali aperti all’intera comunità.

 

DECORI

Tra le 3.500 Domus de janas recensite, 215 sono decorate con motivi realizzati a scultura, incisione e pittura.

Il rosso dei decori richiama simbolicamente il sangue del ventre materno a cui la persona defunta ritornerebbe con la sepoltura nei vani delle Domus per poi rinascere a nuova vita.

I motivi individuati vengono racchiusi in 5 categorie:

  1. Protomi, cioè motivi a forma di testa di bovino (o corniformi o bucrani, cioè crani di bovini);
  2. Pettiniformi;
  3. Antropomorfi;
  4. Armi ed Utensili;
  5. Figure geometriche.

La protome è senza dubbio il motivo più diffuso e la sua rappresentazione nelle Domus de Janas assumeva valenza rituale, diventando anche propiziatoria: il simbolo assicurava la ricchezza, la forza e soprattutto la fecondità cioè il perpetuarsi del gruppo, minacciato dalla morte. Con l’esecuzione del simbolo la crisi esistenziale di sistema, determinata dalla morte, veniva risolta. Allo stesso tempo veniva concluso il “trasporto” vale a dire il passaggio del defunto nella vita ultraterrena.

L’analisi dei motivi ha rivelato un processo di evoluzione stilistica che ha portato a una progressiva semplificazione e stilizzazione e delle raffigurazioni sino alla fusione, sul piano architettonico, con il portello che rappresenta un’astrazione concettuale magico-religiosa collegata, chiaramente, al costume funerario. Il portello, che sostituisce la testa dell’animale, diventa il segno del passaggio, della transizione fra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra il mondo di qua e l’Altrove. Il portello si trasforma in falsa porta, costituendo l’elemento architettonico-cultuale centrale: l’introduzione del defunto o della defunta attraverso di essa, assume un valore magico rituale, forse di tipo purificatorio, iniziatico e propiziatorio.

In 89 ipogei sono stati rappresentati elementi comunemente interpretati come la rappresentazione/ed imitazione di elementi architettonici tipici dell’abitazione dei vivi: come il soffitto a doppio o unico spiovente, a semicerchio, colonne, pilastri e semipilastri, lesene, zoccoli, gradini, focolari. In alcune tombe sono imitati perfino gli arredi come i banconi, i tavoli, i tappeti.

È probabile che con l’imitazione della casa si volesse rendere operativo, in chiave magico-rituale, il richiamo simbolico al mondo dei vivi, ad una realtà passata che si voleva evocare, per completare il ciclo di vita-morte-rinascita dell’ideologia funeraria del V-III millennio a. C

 

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