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La sacra ciclicità del tempo
Nel passaggio dall’Era in cui si venerava la Dea Madre a quella in cui si è imposto il patriarcato, l’Umanità ha subito un furto di valori di cui paga ancora il prezzo a enorme danno della propria felicità. Ciò che è stato perso è un immenso patrimonio immateriale dal risvolto pratico molto concreto, perché i valori che lo hanno sostituito incidono negativamente e in modo radicale nella nostra esistenza. Tutto ciò avviene senza che ce ne rendiamo conto perché di quegli antichi valori si è persa la memoria. Lo strumento per invertire il paradigma è la conoscenza.
Uno di quei valori è la concezione del tempo. Sino all’Età dei Metalli il tempo era concepito in modo circolare, infatti il cerchio e la spirale sono simboli della Dea. Il motivo è che la vita, così come qualsiasi avvenimento, era concepita come ciclica, esattamente come lo è la Natura col ripetersi delle stagioni, il movimento degli astri, l’alternarsi del giorno e della notte e la ciclicità manifesta nel corpo della donna col periodico sanguinamento mestruale che avviene con un ritmo identico a quello del ciclo lunare. Nella concezione ciclica del tempo ogni cosa nasce, si sviluppa, muore e rinasce. Persino la morte non rappresentava la fine. I corpi venivano sepolti in posizione fetale dentro cavità che richiamano l’immagine di un grembo materno perché ritenevano che la persona sarebbe poi rinata a nuova vita partorendo dal grembo della Madre Terra. Se persino la morte non fermava il ciclo, nessun avvenimento della vita quotidiana doveva sembrare definitivo e, per questo, catastrofico. Davanti a una simile concezione, qualunque momento difficile dell’esistenza può apparire nella stessa maniera in cui si può concepire la notte o l’inverno: una parte di un ciclo che continuerà ad evolversi.
Con l’Età dei Metalli si assiste a un mutamento progressivo e radicale delle forme sociali e della cultura. La concezione del tempo, da circolare diventa lineare: ogni cosa nasce, si sviluppa e muore. Nasce il concetto di “fine” ineluttabile e l’approccio rispetto a ogni cosa cambia radicalmente. Non è un caso che la nostra cultura non celebri il valore delle persone anziane (che sono percepite per la vicinanza alla fine del ciclo vitale, quindi non utili, anziché come parti del ciclo, quindi utili alla società per i valori che portano in quella fase dell’esistenza). Né c’è da stupirsi che si impongano modelli estetici lontani dai normali mutamenti del corpo durante l’intero ciclo della vita, né che il fallimento sia percepito come una tragica fine, anziché come opportunità di cambiamento e parte della ciclicità. La tristezza viene considerata una cosa da annullare il più velocemente possibile. La solitudine, un male da debellare. Il tempo lineare non riconosce diritto di cittadinanza al crepuscolo, come se, dopo la notte, il Sole non potesse sorgere ancora. Ecco dunque che davanti alla difficoltà, si cade nella disperazione più nera e non sfiora nemmeno l’idea che, accettandola e attraversandola, non solo la si supererà, ma probabilmente se ne uscirà arricchiti e rafforzati.
Cristina Muntoni
(Questo articolo è stato pubblicato nella mia rubrica #Sacredwoman su Coach ShoppingMag)
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