La Sardegna possiede uno strabiliante patrimonio archeologico poco conosciuto al mondo e in forte pericolo di distruzione. Ho lanciato una petizione per salvare le Domus de Janas facendole riconoscere come patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Le Domus de Janas sono circa 3.500. Il loro nome significa “case delle fate”, sono spettacolari grotticelle funerarie scavate nella roccia tra il V ed il III  millennio a. C. e legate al culto della Dea.  Di queste, almeno 215 sono decorate con motivi realizzati a scultura, incisione e pittura con rappresentazioni simboliche di potente valenza rituale e propiziatoria, con astrazioni concettuali di indubbio significato magico-religioso.

Rappresentano un bene culturale di valore universale eccezionale, nella maggior parte dei casi messo in pericolo dall’incuria, dall’abbandono e dal degrado. Un pezzo preziosissimo di storia e della nostra identità rischia di andare perduto pur trattandosi di una meraviglia che in qualunque altro Stato sarebbe al centro di campagne di tutela, valorizzazione e promozione turistica.

È urgente e necessario intervenire per la loro tutela.

Ho creato una petizione per agevolare la richiesta all’UNESCO affinché le Domus de Janas decorate vengano inserite nella Lista del Patrimonio Mondiale dei beni tutelati dall’UNESCO possedendone tutte le caratteristiche e i requisiti richiesti dalla Convenzione UNESCO del 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale.

Questi beni costituiscono infatti una testimonianza “unica” di una tradizione culturale e di una civiltà ormai estinte.  Questo varrebbe a consentire l‘iscrizione di questi beni in un’apposita Lista del patrimonio mondiale. A oggi, del patrimonio archeologico della Sardegna soltanto il complesso nuragico di Barumini è stato iscritto nella Lista, mentre risultano del tutto ignorati gli altri beni culturali, in particolare quelli risalenti al periodo della Sardegna preistorica.

L’identità della Sardegna, profondamente radicata nella sua insularità, risulterebbe significativamente rafforzata dal riconoscimento dell’eccezionalità di un patrimonio culturale troppo spesso dimenticato, così come è stato sottolineato da Giuseppa Tanda, del Centro Studi Identità e Memoria e già professoressa ordianaria di  Preistoria e Protostoria dell’Università di Cagliari.

Video servizio di Videolina

L’iter per l’inserimento nella Lista è lungo e complesso. Grazie all’iniziativa del Centro Studi Identità e Memoria (che il 26 ottobre ha organizzato un convegno sul tema a Nuoro coinvolgendo l’Assessorato Regionale ai beni culturali e specialisti di chiara fama delle Università di Cagliari – Riccardo Cicilloni e Carlo Luglié -, Sassari – Paolo Fois e Anna Depalmas -, Milano – Tullio Scovazzi – e Malta – Anthony Bonanno – oltre ad esperti delle soprintendenze) è partita la grande macchina burocratica che porterà a presentare la richiesta che va inoltrata entro il 20 dicembre al Comitato Nazionale Italiano dell’UNESCO che poi la inoltrerà al Ministero dei Beni Culturali che, dopo una complessa procedura, se passa arriverà al vaglio del Comitato del Patrimonio Mondiale. Il ruolo del movimento popolare è importante perché può incidere come stimolo in ogni fase della procedura, a partire dalla prima che prevede la creazione di una rete tra i Comuni sardi coinvolti e la loro attivazione per il progetto.

 

LE DOMUS DE JANAS

DESCRIZIONE

Le Domus de Janas – chiamate così perché, secondo la mitologia sarda, sarebbero le abitazioni delle fate tessitrici che lì nascondevano i loro tesori – si presentano come cavità nella roccia raggruppate in necropoli individuate in almeno 53 siti. A queste necropoli dovrebbero corrispondere altrettanti villaggi, non sempre individuati o individuabili. Le necropoli che presentano il maggior numero di domus de janas sono quelle di Montessu a Villaperuccio (con 39 tombe), Anghelu Ruju ad Alghero (38), Ispiluncas a Sedilo (33), San Pantaleo ad Ozieri (con 31). Più comunemente si presentano isolate o in gruppi più piccoli. La concentrazione maggiore di Domus de Janas si osserva nella Sardegna centro settentrionale, probabilmente perché era più facile scavare le grotticelle nelle rocce tenere caratteristiche della zona (soprattutto calcaree e arenarie), o – come spiega Tanda – per la presenza dell’altare preistorico di Monte d’Accoddi, situato a circa 12 km da Sassari, monumento unico in Sardegna e nel Mediterraneo, componente significativa del sistema culturale sviluppatosi in Sardegna tra il neolitico e la I età del Bronzo.

SIMBOLOGIA

Le Domus de Janas sono cavità nella roccia che richiamano simbolicamente la forma del ventre materno. I corpi venivano coperti di ocra rossa, simbolicamente ripetendo il sangue dell’utero con cui i bambini e le bambine nascenti erano avvolti nel momento della nascita. I corpi venivano deposti rannicchiati in posizione fetale, proprio come dentro il grembo. Nella mano destra tenevano una piccola statuina della Dea, come a proteggerli nel passaggio che avrebbero fatto dallo stato di morte alla nuova vita.

STRUTTURA

Le planimetrie si sviluppano per lo più in maniera semplice, talvolta, in maniera molto articolata, arricchendosi man mano, per arrivare fino a 20 camere. Ad esempio ad Ossi,

nella domus II di Mesu ‘e Montes e nella Tomba Maggiore. L’estensione massima, di 140,45 mq, è stata misurata nella domus de janas denominata Tomba del Capo, situata a Monte d’Accoddi, Sassari. La complessità degli ipogei è il risultato di ristrutturazioni e di aggiunte avvenute nel lungo arco di tempo, talvolta millenario, in cui vennero usate le grotticelle. Tale continua riutilizzazione evidenzia il loro valore identitario e “politico” delle tombe, legato anche alla funzione di segno di possesso e di marca territoriale del gruppo umano che le aveva escavate.

USO

I vani permettevano di svolgere due funzioni: la prima era quella di accogliere il defunto o la defunta in un vano riservato che ne assicurava la protezione; la seconda consisteva nel dare accoglienza ai culti rituali in uno spazio circoscritto, rendendo forse possibile, con visite periodiche, la comunicazione spirituale di tipo individuale con i morti ma anche quella di tipo collettivo, instaurando, nel tempo, rituali aperti all’intera comunità.

 

DECORI

Tra le 3.500 Domus de janas recensite, 215 sono decorate con motivi realizzati a scultura, incisione e pittura.

Il rosso dei decori richiama simbolicamente il sangue del ventre materno a cui la persona defunta ritornerebbe con la sepoltura nei vani delle Domus per poi rinascere a nuova vita.

I motivi individuati vengono racchiusi in 5 categorie:

1.    Protomi, cioè motivi a forma di testa di bovino (o corniformi o bucrani, cioè crani di bovini);

2.    Pettiniformi;

3.    Antropomorfi  ;

4.    Armi ed Utensili;

5.    Figure geometriche.

La protome è senza dubbio il motivo più diffuso e la sua rappresentazione nelle Domus de Janas assumeva valenza rituale, diventando anche propiziatoria: il simbolo assicurava la ricchezza, la forza e soprattutto la fecondità cioè il perpetuarsi del gruppo, minacciato dalla morte. Con l’esecuzione del simbolo la crisi esistenziale di sistema, determinata dalla morte, veniva risolta. Allo stesso tempo veniva concluso il “trasporto” vale a dire il passaggio del defunto nella vita ultraterrena.

L’analisi dei motivi ha rivelato un processo di evoluzione stilistica che ha portato a una progressiva semplificazione e stilizzazione e delle raffigurazioni sino alla fusione, sul piano architettonico, con il portello che rappresenta un’astrazione concettuale magico-religiosa collegata, chiaramente, al costume funerario. Il portello, che sostituisce la testa dell’animale, diventa il segno del passaggio, della transizione fra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra il mondo di qua e l’Altrove. Il portello si trasforma in falsa porta, costituendo l’elemento architettonico-cultuale centrale: l’introduzione del defunto o della defunta attraverso di essa, assume un valore magico rituale, forse di tipo purificatorio, iniziatico e propiziatorio.

In 89 ipogei sono stati rappresentati elementi comunemente interpretati come la rappresentazione/ed imitazione di elementi architettonici tipici dell’abitazione dei vivi: come il soffitto a doppio o unico spiovente, a semicerchio, colonne, pilastri e semipilastri, lesene, zoccoli, gradini, focolari. In alcune tombe sono imitati perfino gli arredi come i banconi, i tavoli, i tappeti.

È probabile che con l’imitazione della casa si volesse rendere operativo, in chiave magico-rituale, il richiamo simbolico al mondo dei vivi, ad una realtà passata che si voleva evocare, per completare il ciclo di vita-morte-rinascita dell’ideologia funeraria del V-III millennio a. C