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La Dea Madre di Senorbì, IV sec. a.C. Cagliari, Museo Archeologico NazionaleIl segno V e l’origine del simbolo di Tanit

Che significato ha la forma stilizzata della Dea madre cruciforme? Che legame ha con i segni geometrici che caratterizzano l’arte e l’architettura della civiltà preistorica sarda? Sono solo decorazioni le incisioni a spirale, clessidra e zig zag che compaiono nei vasi e nelle tombe ipogeiche della Sardegna prenuragica? Le risposte, tra intuizioni e nozioni di antropologia, astronomia, storia dell’arte e delle religioni, cerca di darle Donatello Orgiu con le 124 pagine de “La Dea bipenne – Dal segno all’idea”. Lo studioso autodidatta di Isili ha raccontato, con una chiave di lettura originale, quello che appare come un universo simbolico straordinario, ma non ancora pienamente svelato dal mondo accademico. Un universo dominato da archetipi e motivi astrali che pone la Luna al centro di un alfabeto metafisico capace di decodificare segni e forme che trovano nella Venere di Senorbì della cultura di Ozieri la loro massima espressione. <<Orgiu ha colto che il legame tra tutti questi segni è racchiuso in una concezione del tempo lontana dalla nostra che è lineare. Per i nuragici il tempo era ciclico e scandito dai ritmi lunari e della natura>>, spiega Paolo Litarru, ingegnere, cultore di archeoastronomia e presidente dell’associazione culturale Agorà nuragica che ha curato l’edizione del testo e la presentazione, giovedì scorso, alla Biblioteca Settecentesca dell’Università di Cagliari. <<La Luna domina tutta la simbologia degli antichi sardi– spiega l’autore – Con le sue fasi crescenti e calanti rende continuamente palese un ciclo inesauribile di nascita e morte. La Dea bipenne, che ripete l’immagine di una doppia ascia, secondo me racchiude questa simbologia dell’unione degli opposti: le due protuberanze che sostituiscono le braccia sono la stilizzazione di una Luna crescente e una calante, il primo e l’ultimo quarto di Luna>>. Una simbologia figlia di una concezione dualistica dell’esistenza che secondo l’autore si ritroverebbe anche in numerosi segni che tradizionalmente sono identificati come decorativi o suggerenti i moti astrali solo in senso generico.

<<Le spirali e le zig zag, come quelle della stele del Monte D’Accoddi o nelle tombe di Corongiu e nella necropoli di Montessu, sono la rappresentazione del moto lunare così come emerge disegnando il suo percorso rispettivamente a cerchi concentrici o con l’uso di linee rette per unire i punti di alba, massima elevazione e tramonto sull’orizzonte: un disegno, quest’ultimo, che si esprime col ripetersi di una V rovesciata per nove volte e mezza. Parimenti la clessidra antropomorfa, come quella del vaso della grotta di Monte Majore di Thiesi, è l’unione degli apici di due triangoli che indicano ai loro vertici le linee solstiziali e lunistiziali>>. Si potrebbe obiettare il sospetto di qualche forzatura per far rientrare i simboli cosmici ad ogni costo. <<La scienza – risponde Franco Laner, docente all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia – va avanti solo quando qualcuno sostituisce la tranquilla navigazione costiera con quella più insidiosa d’altura, trovando il coraggio di osare e lasciare le sponde sicure del porto>>.
Cristina Muntoni

Da L’Unione Sarda ottobre 2013 Pag.52 ~Cultura~